IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sulla  richiesta  di  rito
 abbreviato  formulata  dall'imputato  Bonometti  Marco,  imputato nel
 reato di cui all'art. 4, legge n. 586/1982,  visto  il  dissenso  del
 pubblici ministero.
                             O s s e r v a
   A seguito di una complessa indagine promossa dalla locale procura e
 dalla  Guardia  di  finanza,  volta  a reprimere gli episodi di frode
 fiscale, veniva sottoposto  ad  indagini  Bonometti  Marco  per  aver
 utilizzato  fatture per operazioni in tutto od in parte inesistenti e
 per  avere  nella  dichiarazione  dei  redditi  simulato   componenti
 negativi di reddito utilizzato le predette fatture.
   Nel   corso   dell'interrogatorio  reso  in  data  21  luglio  1995
 l'imputato rendeva piena confessione, ammettendo tutti gli  addebiti,
 che cioe' di aver sovraffatturato le fatture di circa il 20%.
   Ultimate  le  indagini in data 5 gennaio 1996 il pubblico ministero
 chiedeva il rinvio a giudizio del pervenuto indicando  quale  importo
 della sovraffatturazione il 20%.
   L'udienza   preliminare   subiva   alcuni   rinvii  per  permettere
 all'imputato   di   effettuare   il   risarcimento   nei    confronti
 dell'amministrazione  finanziaria  (risarcimento  poi  effettuato  in
 maniera parziale).
   In data 20 novembre 1997 Bonometti  presentava  richiesta  di  rito
 abbreviato.
   Il  pubblico  ministero  non  prestava  il  consenso,  motivando le
 ragioni del proprio  dissenso,  sulla  necessita'  di  un'istruttoria
 dibattimentale   al   fine   di   effettuare  "un  piu'  approfondito
 accertamento  sulle  modalita'  delle  frodi  fiscali   consumate   e
 soprattutto  sul  quantum  di  esse",  ritenendo  che  il giudizio di
 decidibilita' "deve investire necessariamente anche l'ammontare della
 pena che, ex art. 133 c.p., il giudice dovra'  infliggere  una  volta
 accertato il fatto nella sua interezza".
   La  difesa eccepiva la questione di legittimita' costituzionale del
 combinato disposto degli  artt.  438,  439,  440  e  442  c.p.p.  con
 riferimento  agli  art.  101, secondo comma, 25, primo comma, 3 e 24,
 secondo comma della Costituzione nella parte in cui non prevedono che
 il giudice dell'udienza preliminare non possa sindacare  il  dissenso
 del  pubblico  ministero,  procedendo nelle forme del rito abbreviato
 qualora ritenga tale dissenso ingiustificato.
   Il pubblico ministero  chiedeva  termine  per  poter  replicare  ed
 all'udienza  del  16  gennaio  depositava  memoria  con  cui chiedeva
 respingersi la questione in quanto manifestamente infondata.
   A parere  del  giudicante  la  questione  e'  rilevante  e  non  e'
 manifestamente infondata.
   E' rilevante, in quanto nel caso di accoglimento della questione il
 processo potrebbe svolgersi nelle forme del rito abbreviato, rito che
 altrimenti sarebbe precluso.
   E,  contrariamente  alla assunto del pubblico ministero l'eccezione
 non e' manifestamente infondata.
   Il giudizio abbreviato in base ad una prima indicazione sistematica
 che si trae dalla legge-delega (punto 53) e' un procedimento speciale
 che   comporta   la   definizione   del   procedimento   nell'udienza
 preliminare.
   La   previsione   del   giudizio   abbreviato  disposto  nel  corso
 dell'udienza preliminare e' stata dettata dalla esigenza di  ampliare
 il   piu'   possibile   la  possibilita'  di  instaurazione  di  tale
 procedimento speciale (cfr:    relazione  al  codice),  con  evidenti
 intenzioni deflattive.
   Nella relazione al codice i presupposti del rito abbreviato vengono
 indicati  nella  richiesta  dell'imputato,  nel consenso del pubblico
 ministero e  nell'ordinanza  del  giudice  che  dispone  il  giudizio
 speciale.    Ed  il  giudice decidera' se disporre o meno il giudizio
 abbreviato  in  base  al  presupposto della "dicidibilita' allo stato
 degli atti".
   Peraltro il principio della "decidibilita' allo stato  degli  atti"
 non  e'  solo  un  presupposto  per  il  giudice.  Anche  il pubblico
 ministero nell'enunciare il proprio consenso o  dissenso  dovra'  far
 riferimento  esclusivamente alla decidibilita' allo stato degli atti.
 Il giudizio di  decidibilita'  deve  essere  fatto  con  riferimento,
 ovviamente,  all'imputazione  formulata dal pubblico ministero con la
 richiesta di rinvio a giudizio, non essendo legittimo effettuare tale
 giudizio con riferimento a  fatti  diversi  o  nuovi  che  potrebbero
 risultare nel corso dell'istruzione dibattimentale.
   Il  criterio  su  cui  si  deve basare tale giudizio e' un criterio
 "oggettivo" essendo quello relativo alla possibilita'  di  sviluppare
 nel corso dei dibattimento l'ipotesi di accusa, atteso che al momento
 della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  gli  elementi di prova pur
 essendo sufficienti ad emettere il decreto che dispone  il  giudizio,
 sono  contraddittori  e  non  sufficientemente completi. Rimangono, o
 dovrebbero rimanere fuori da tale  giudizio  argomentazioni  diverse,
 quali  l'opportunita'  di  procedere contestualmente nei confronti di
 tutti gli imputati o la determinazione della pena.
   Senonche', anche qualora invece il dissenso del pubblico  ministero
 non  si  fondi  su tale criterio, ma si fondi su altri elementi cosi'
 come nel caso in cui il  dissenso  non  venga  neppure  motivato,  il
 giudice dell'udienza preliminare e' vincolato, non potendo effettuare
 alcun sindacato sulla corrispondenza del dissenso ai criteri di legge
 (individuati, appunto, nella decidibilita' allo stato degli atti).
   Infatti  le  conseguenze  pratiche  del sistema adottato sono che a
 fronte del mancato consenso del  pubblico  ministero,  anche  se  non
 motivato  o  mal motivato, il giudice dell'udienza preliminare non ha
 altra alternativa  se  non  quella  di  respingere,  allo  stato,  la
 richiesta  di  giudizio  abbreviato  e  disporre  la prosecuzione del
 procedimento nelle forme ordinarie. Tale schema risponde all'esigenza
 di non  adottare  un  rito  speciale  contro  le  determinazioni  del
 pubblico  ministero  il  quale  con  il  negare  il  proprio consenso
 all'adozione del rito abbreviato esprime la volonta' che il  processo
 sia  definito  in quella fase cruciale del sistema accusatorio che e'
 il dibattimento.
   A parere della scrivente, tale schema non e' immune da  censure  di
 legittimita' costituzionale.
   Infatti  il  giudice dell'udienza preliminare rimane vincolato alla
 volonta' delle parti, si limita a registrare la volonta' delle  parti
 senza  alcun  potere  di  sindacarla  verificandone la conformita' ai
 criteri di legge.
   Tale disciplina, dunque, e' in contrasto con  l'art.  101,  secondo
 comma della Costituzione, secondo cui il giudice e' soggetto soltanto
 alla  legge, in quanto nel caso di specie il sindacato del giudice e'
 del tutto svincolato dalla legge, essendo subordinato ad  una  scelta
 del  pubblico  ministero  (scelta  insindacabile  da  parte  di  quel
 giudice, in quanto solo il giudice del dibattimento potra'  sindacare
 il  dissenso  del  pubblico  ministero  ed applicare la riduzione del
 terzo di pena qualora quel dissenso risulti immotivato).  Il  giudice
 dell'udienza  preliminare,  anziche'  essere  soggetto  soltanto alla
 legge, e' soggetto "soltanto" alle parti e nella specie  al  pubblico
 ministero.   Infatti   mentre   egli   puo'  sindacare  la  richiesta
 dell'imputato (qualora vi sia il  consenso  del  pubblico  ministero)
 ritenendo  il  procedimento  non  decidibile  allo stato degli atti e
 disponendo il rinvio a giudizio dell'imputato, gli e' precluso  alcun
 giudizio in ordine al dissenso del pubblico ministero.
   Ma    tale    disciplina   presenta   profili   di   illegittimita'
 costituzionale anche con riferimento all'art. 25  primo  comma  della
 Costituzione (violazione del principio del giudice naturale).
   Infatti  giudice naturale nel caso di richiesta di abbreviato e' il
 giudice dell'udienza  preliminare.  Peraltro  il  pubblico  ministero
 atraverso  il  proprio  dissenso, insindacabile da parte dei giudice,
 puo' far venire meno la possibilita' per il g.u.p. di poter  decidere
 all'udienza preliminare, costringendo l'imputato al dibattimento.
   L'impossibilita'  da parte del g.u.p. di verificare che il dissenso
 del pubblico ministero sia ancorato ad un  criterio  oggettivo  quale
 quello indicato dal legislatore della "decidibilita' allo stato degli
 atti" comporta che l'imputato viene distolto dal giudice naturale per
 una scelta del tutto discrezionale del pubblico ministero.
   Di    conseguenza   tale   disciplina   individuando   il   giudice
 precostituito per legge non in base a criteri oggettivi, ma  in  base
 ad  una  scelta  dell'organo  d'accusa,  non  e'  conforme al dettato
 costituzionale.
   E  tale  disciplina  potrebbe   portare   da   situazioni   assurde
 nell'ipotesi in cui il pubblico ministero non presti il consenso (con
 dissenso  non  motivato  o pretestuosamente motivato) per ragioni del
 tutto svincolate da un giudizio di  decidibilita'  allo  stato  degli
 atti.
   Ne' per contro la possibilita' del g.u.p. di sindacare i poteri del
 pubblico  ministero  limiterebbe  i  poteri  dell'accusa,  atteso che
 potra' proporre quello nei casi previsti dalla legge ed impugnare  la
 sentenza in Cassazione per violazione di legge.
   La  disciplina  delineata  dagli  art.  438, 439, 440 e 442 risulta
 altresi' in contrasto con l'art. 3 e 24 della  Costituzione.
   Infatti qualora l'imputato abbia chiesto il giudizio abbreviato  la
 scelta del rito ordinario o di quella speciale dipende esclusivamente
 dalla decisione insindacabile del pubblico ministero.
   Premesso  che  in  un  processo  di parti, com'e' quello voluto dal
 legislatore del 1989, risulta una evidente disparita' tra  l'imputato
 e  l'organo dell'accusa, in ordine alla possibilita' di instaurazione
 del rito, in quanto la volonta' dell'imputato di richiedere  il  rito
 abbreviato  e'  soggetta  ad  una  verifica  del giudice dell'udienza
 preliminare,  mentre  il  dissenso  del  pubblico  ministero  non  e'
 soggetto  ad  analogo  sindacato. Peraltro anche a voler ritenere che
 tale  disparita'  dipenda  dalla  precisa   scelta   legislativa   di
 privilegiare   l'accusa,   in   quanto  organo  pubblico  e  titolare
 dell'azione penale, risulta comunque irragionevole la  disparita'  di
 trattamento  tra  imputato  ed  imputato  dipendente da una decisione
 insindacabile  del  pubblico  ministero.  Tale  disciplina   potrebbe
 comportare,  infatti,  che  due imputati la cui storia processuale e'
 analoga (si pensi a due imputati che  a  fronte  della  contestazione
 abbiano  reso  ampia  confessione), vengano giudicati uno con il rito
 abbreviato e l'altro con il rito ordinario solo perche'  il  pubblico
 ministero  del secondo processo ha dissentito "immotivatamente" o con
 un "dissenso pretestuoso" sulla scelta del rito.
   D'altra parte risulta violato anche il diritto di difesa, in quanto
 se e' vero che in casi in cui il dissenso sia giudicato all'esito del
 dibattimento  immotivato  il giudice puo' recuperare la riduzione del
 terzo di pena, e' altresi' vero che l'imputato subisce un pregiudizio
 prima per essere costretto ad un  dibattimento  con  un  aggravio  di
 spese  processuali, poi per non poter beneficiare degli altri aspetti
 del rito abbreviato quali i limiti di impugnabilita'  delle  sentenze
 da parte del pubblico ministero.